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Pedalando in nome di San Camillo per il IV Centenario

DAL TIRRENO ALL’ADRIATICO IN BICICLETTA

di P. Paolo Guarise
Vicario Generale dell’Ordine dei Ministri degli Infermi
 

Il 14 luglio 2013 è iniziato ufficialmente l’Anno Giubilare Camilliano che celebra i 400 anni della morte di San Camillo de Lellis. Nel corso di tale anno giubilare ci sono stati diversi pellegrinaggi diretti a Bucchianico (Chieti) dove S. Camillo è nato, e a Roma dove S. Camillo è vissuto ed è morto.
La maggior parte di tali pellegrinaggi vengono fatti in auto o in pullman; raramente in treno. Ci sono stati però due pellegrinaggi un po’ originali, e cioè quello fatto a piedi da Fratel Luca assieme ad un amico e quello fatto in bicicletta da quattro pellegrini-ciclisti. E’ di quest’ultimo pellegrinaggio che voglio brevemente parlare.

Perché un pellegrinaggio in bicicletta?
Un pellegrinaggio è soprattutto un percorso da compiere in cui viene dato spazio alla riflessione e alla preghiera. Quanto più tempo viene dedicato all’orazione e al silenzio, tanto più il pellegrinaggio è proficuo, ricco di cose da offrire a Dio e di cose da imparare per ciascun pellegrino. Va da sé che in un pellegrinaggio in bicicletta si può unire l’utile al dilettevole, vale a dire: si dà una boccata di ossigeno allo spirito come pure un po’ di relax al corpo, condividendo gioie e dolori con eventuali compagni di viaggio.

Avendo già fatto due pellegrinaggi in bicicletta in Spagna, direzione Santiago de Compostela, mi sembrava naturale che quest’anno era opportuno posizionare il manubrio della bicicletta non più verso l’ovest (Spagna), ma verso l’est, in direzione di Bucchianico. S. Camillo ha fatto molte volte il tragitto Roma-Bucchianico e viceversa. L’ha fatto per lo più a cavallo, oppure in calesse; diversi tratti ha dovuto farli a piedi. Ha sfidato – come viene riportato dai suoi biografi, in particolare dal Cicatelli – il freddo, il caldo, le bufere di vento o di neve, i briganti, l’attraversamento di torrenti impetuosi. Il viaggiare è stato per Camillo un’impresa necessaria e frequente per fondare prima, e visitare poi, le numerose case di apostolato lungo la penisola italiana. I suoi frequenti viaggi sono stati parte della sua vita; in essi ha vissuto momenti di sofferenza, di preghiera, di decisioni da prendere, di condivisione con i confratelli che l’accompagnavano. Per questo ci è sembrato giusto ripercorrere il cammino che Camillo ha fatto, attraversando gli stessi villaggi arrampicandoci sugli stessi monti e venendo sospinti dagli stessi venti.

Certo – si dirà – ai tempi di Camillo non c’era l’asfalto e nemmeno i ponti ad un’unica arcata che ci sono adesso. Giusto. Però la fatica del percorso rimane quando devi raggiungere con la forza delle tue gambe l’altitudine di 1100 metri di Forca Caruso, o superare in pochi chilometri un dislivello di 400 metri che dal Fosso dell’Inferno, a lato della città di Chieti, porta al Santuario S. Camillo che si trova sulla sommità estrema del paese di Bucchianico, accovacciato sul cocuzzolo di un monte.

Dalla Casa della Maddalena ai piedi della Maiella
Il pellegrinaggio comincia a Roma il 5 settembre, davanti alla chiesa di Santa Maria Maddalena, Casa Madre dell’Ordine, luogo dove sono custodite le spoglie mortali di S. Camillo, raccolte in un’urna di bronzo appena inaugurata. Siamo in 4 persone: Lino, Augusto, Edoardo e Paolo, vale a dire tre ciclisti e un autista/navigatore. Un quarto ciclista, che si chiama Edoardo pure lui, ci raggiunge in bici a Bucchianico, individualmente (ne parleremo poi). Dimenticavo di dire che tra i partecipanti al tour/pellegrinaggio c’è anche la nostra mascotte Totò, un giovane bulldog assai accattivante che fa compagnia all’autista e a noi nei momenti che non siamo in sella.

L’inizio del viaggio comincia con una invocazione a S. Camillo affinché protegga il nostro cammino e ci mantenga in salute. Tale preghiera viene recitata ogni mattina prima di salire in bicicletta. L’attraversamento della città di Roma è lungo e noioso, dato che è il momento del mattino in cui la gente giunge in città per il lavoro. Mentre respiriamo smog e ci stringiamo per far passare autobus e camion, pensiamo alle belle montagne abruzzesi che ci attendono e all’aria fresca che riempirà i nostri polmoni. S. Camillo nei suoi viaggi ha incontrato tante difficoltà, ma certamente non quella di dovere attraversare il traffico indiavolato della Capitale e respirarne i fumi mefitici.
Percorrendo la Tiburtina usciamo finalmente dalla città anche se si può dire che quasi fino a Tivoli l’area metropolitana di Roma si estende senza soluzione di continuità. Facciamo con piacere la salita di Tivoli, sapendo che di là si può gustare un paesaggio stupendo con colline coperte di ulivi, anche se squarciate qua e là dalle cave di travertino. Tra Tivoli e Vicovaro, quando ormai si pedala solo tra gli alberi verdi, ci si ferma per una piccola sosta per rifocillare il corpo e lo spirito, giacché l’orologio segna mezzogiorno passato.
Si arriva a Roviano dove c’è il bivio per Subiaco, luogo che ci richiama la profonda spiritualità di San Benedetto e di sua sorella Santa Scolastica. Ed ecco che il salire si fa faticoso. Ci si arrampica sulle colline fino ad arrivare ad Arsoli che segna il confine tra Lazio e Abruzzo; il cartello segna metri 470 sul livello del mare. Il mare: oh, quanto è diversa Ostia, dove andiamo spesso a fare il giretto domenicale in bici, da questo paese montano!
Sono le tre del pomeriggio quando arriviamo a Carsòli, che si eleva a 616 metri sul livello del mare. Fatichiamo un poco a trovare le Suore Riparatrici del Volto Santo, non perché il loro convento giace su un erto poggio, ma perché la gente non ha idea di chi possano essere! Ci dicono di conoscere il convento di S. Francesco, dove – come è attestato – è passato e ha dimorato S. Francesco, ma non sanno che ora è abitato dalle Suore Riparatrici. L’accoglienza è ottima ed il posto è un luogo ideale dove il pellegrino può trovare riposo nel silenzio, nella preghiera e nella quiete. Al mattino celebriamo la Messa per le suore e subito ripartiamo in direzione di Collarméle. Saliamo fino a quota mille metri per raggiungere una località chiamata Sante Marie. Non abbiamo tempo di fermarci per soddisfare la nostra curiosità e chiedere come mai quel nome. Non ci fermiamo nemmeno nella cittadina seguente, Tagliacozzo – nome ben noto ai Camilliani – dato che ci fermeremo nel viaggio di ritorno. Ci fermiamo invece ad Avezzano, ridente e industriosa cittadina della Marsica che ha dato i natali ai Letta, due uomini politici di questa nostra Italia.

Da Avezzano raggiungiamo in breve tempo Collarméle (provincia de L’Aquila), una cittadina che nel passato contava 2.000 abitanti ma che ora non ne conta neanche 1.000, a causa dell’emigrazione in città, in particolare a Roma. La gente ritorna in paese d’estate per fare le ferie. Ci accoglie il parroco Don Francesco, il quale ci ospita nei locali dell’asilo infantile. A sera prendiamo parte alla Santa Messa nella chiesa parrocchiale: i fedeli sono numerosi e partecipano attivamente all’azione eucaristica, solo che non c’è neppure un giovane. Di buon mattino, sferzati dall’aria fresca, saliamo a Forca Caruso, 1.100 metri di altezza, luogo camilliano. Prima di partire abbiamo letto il passo del Cicatelli che narra che, qui, Camillo in uno dei suoi viaggi ha dovuto raccomandarsi a Dio perché il vento che soffiava sul valico era talmente forte che proseguire il viaggio era diventato impossibile. Il Signore esaudì le sue invocazioni, cosicché il Fondatore poté proseguire il cammino fino alla meta prevista. Anche noi qui sperimentiamo la forza del vento che soffia gagliardo, ma in maniera positiva, perché approfittando della sua potenza ci buttiamo a capofitto nella lunga discesa di 13 km che ci porta a Castel di Ieri e di qui nella gola di S. Venanzio, lungo il fiume Aterno spumeggiante di acque fresche che discendono copiose dal Gran Sasso. A Raiano facciamo colazione nei giardini pubblici consumando il pecorino avanzato nella cena della sera prima. A Popoli, la città dell’ acqua perché vi confluiscono quattro fiumi, abbiamo un imprevisto: un’improvvisa foratura alla ruota ci costringe a fermarci, ma la solidarietà e lo spirito di collaborazione del gruppo fa sì che in una decina di minuti siamo tutti nuovamente in sella. Arriviamo al bivio per Tocco da Casauria, proseguiamo per Scafa dove prendiamo un panino e quindi proseguiamo per Chieti. Senonché qui c’è un altro imprevisto, perché ci perdiamo: invece di proseguire per Bucchianico evitando la città di Chieti, ci siamo dirigiamo erroneamente verso Chieti Scalo, perdendo la direzione giusta. Dobbiamo tornare indietro di qualche chilometro e ricongiungerci con il nostro autista/navigatore che si mette davanti a noi quale stella cometa. Saliamo parecchio, sotto il sole del primo pomeriggio,  a fianco della città senza mai entrarci , per scendere poi improvvisamente in una strada diretta al fondovalle che porta il nome di Fosso dell’Inferno. Questo ci richiama naturalmente la Valle dell’Inferno, situata nel Gargano di Puglia, dove Camillo ha incontrato la conversione. A questo punto comincia la salita dura. Alzando la testa vediamo sul monte il paese di Bucchianico arroccato sulla cima; ci arrampichiamo a fatica, col fiato grosso. Sembra che il paese sia a un tiro di schioppo, ma non ci si arriva mai… Causa anche l’ora poco propizia (sono le tre del pomeriggio), la stanchezza e la fame. La stanchezza è tuttavia presto superata dalla gioia che presto siamo giunti alla meta, quella meta che abbiamo inseguito per tre giorni. Chissà, forse Camillo ci impiegava di più a fare quel percorso, a motivo dell’asperità delle strade di quei tempi, ma certamente sia lui che noi una volta arrivati a quel punto abbiamo provato la stessa gioia, quella di essere giunti alla casa paterna.

Arriviamo all’inizio del paese, ci fermiamo alla curva che porta al Centro di Spiritualità “Nicola D’Onofrio”. Di qui si vede, guardando in su al centro del paese, la grande croce rossa dipinta su una parete che segnala la casa nativa di S. Camillo. Per due del gruppo è la prima volta che vedono Bucchianico e tutto d’un tratto sono immergersi nella sua storia, intrisa di spiritualità camilliana.
Facciamo ancora un piccolo sforzo. Ci inerpichiamo lungo la strada che porta al centro del paese. Passiamo di fronte alla chiesetta di Santa Chiara tenuta dalle Figlie di S. Camillo e poi all’ex chiesetta di S. Antonio ora utilizzata come area museale e sala conferenze. Passiamo a lato della grande chiesa di S. Urbano e finalmente attraverso una strada stretta arriviamo in Piazza S. Camillo de Lellis (ex Piazza Roma). Siamo stanchi, sudati, ma felici. Posiamo le nostre biciclette sul muro ed entriamo nel santuario: esprimiamo al Fondatore S. Camillo il nostro grazie per averci condotti fino alla sua casa, alla stalla dove è nato, al pozzo miracoloso che ha costruito con le sue mani. In questa piazza due mesi fa l’Arcivescovo di Chieti Mons. Bruno Forte ha celebrato una Messa solenne, teletrasmessa,  ed ha aperto l’Anno Giubilare Camilliano per onorare la figura di S. Camillo, il santo patrono dei malati e degli operatori sanitari di tutto il mondo. Il nostro pellegrinaggio in bicicletta è una risposta all’appello di celebrare il Santo della Carità nel luogo a lui più caro, quello che gli ha dato il dono della vita. Mentre scendiamo verso il Centro di Spiritualità “Nicola d’Onofrio” dove veniamo alloggiati per la notte, ammiriamo i monti della Maiella che si estendono davanti a noi e ci giriamo per dare un’occhiata fugace alle nostre spalle all’ Adriatico selvaggio che verde è più dei pascoli dei monti (G. D’Annunzio).

Obiettivo raggiunto, con un record
Dopo esserci rinfrescati un pochino ci dirigiamo verso il santuario per prendere parte alla Messa serale, senonché alla porta d’entrata del Centro di Spiritualità ci imbattiamo con un ciclista trafelato – ma neanche tanto! – che arriva proprio in quel momento, appena sceso dalla bicicletta. E’ Edoardo, il quarto  pellegrino/ciclista che a quell’ora – erano le 17.40 – giungeva da Roma, Casa della Maddalena, da dove era partito all’alba! Aveva percorso 220 km solo soletto, attraversando monti e colline con il suo cavallo di alluminio, affrontando ogni sorta di pericoli, che non hanno mancato di capitargli. Infatti arrivato a Tivoli in pieno centro urbano la ruota anteriore della bicicletta gli si incastra in una griglia del fondo stradale, contorcendosi  irreparabilmente. Per fortuna riesce a trovare un meccanico disponibile e generoso che sostituisce la ruota rovinata con la ruota della propria bicicletta pur di dare al pellegrino la possibilità di riprendere il cammino. Nonostante questo curioso e pericoloso imprevisto, pur avendo accumulato un’ora di ritardo, Edoardo è riuscito a coprire l’intera distanza Roma-Bucchianico di 220 km in poco più di 9 ore. Un record. Complimenti al pellegrino/ciclista/atleta: un gigante – a modo suo – come il Gigante della carità!

Dopo tre giorni di duro cammino il nostro pellegrinaggio prende una sosta. E’ domenica, giorno dedicato alla preghiera e al riposo. Ne approfittiamo per visitare la casa nativa di S. Camillo, il museo adiacente alla cripta del santuario, il piano terra della casa religiosa con l’annesso pozzo miracoloso. Nel pomeriggio visitiamo “La Calcara” situata a pochi chilometri da Bucchianico, nota per il prodigio dell’agnellino Martino. Ne approfittiamo anche per andare a fare un’ispezione del tragitto dei prossimi giorni, direzione Roma, studiando la lunghezza del percorso e le pendenze. Alla sera celebriamo la Messa nella parrocchia di S. Michele che sta di fronte al santuario S. Camillo. Nel viaggio di ritorno ripetiamo grosso modo il percorso dell’andata, con la differenza che tocchiamo e ci soffermiamo in tre luoghi nuovi: il Santuario di Manoppello, la città di Popoli e il centro di Tagliacozzo. Per andare a Manoppello facciamo volutamente una diversione dalla strada statale allungando il percorso di una ventina di chilometri. Ne vale la pena, perché così visitiamo come pellegrini il santuario che custodisce il Sacro Volto di Cristo fissato in un panno miracolosamente portato in quel paese di montagna da uno sconosciuto che poi è improvvisamente scomparso. Ciò è avvenuto agli inizi del 1500, poco prima della nascita di S. Camillo. Chissà se S. Camillo avrà mai visitato quel luogo. Probabilmente no, perché la devozione e il santuario sono sorti dopo. Sappiamo invece dalla cronaca che S. Camillo ha visitato più di una volta il Santuario di Lanciano, famoso per il miracolo eucaristico (8° secolo), che si trova a 40 km da Bucchianico.

A Popoli, dove eravamo passati velocemente nel percorso di andata, ci soffermiamo presso la “Casa di riposo Mons. D’Achille”. Ci accoglie il direttore Don Panfilo che è anche parroco di una grossa parrocchia della città. Alla sera prendiamo parte alla Messa che lui presiede in questa grande e augusta chiesa, che ha l’aspetto di un’antica cattedrale.
Al mattino riprendiamo il cammino in direzione di Collarmele, facendo una lunga sosta a Tagliacozzo, cittadina di circa 7.000 abitanti che fa parte della Comunità Montana della Marsica. E’ un luogo conosciuto ai Camilliani perché nel 1576 S. Camillo ha fatto il suo secondo noviziato presso i frati Cappuccini. Come è noto S. Camillo è stato allontanato anche questa seconda volta (la prima era stata nel Convento di Trivento, in provincia di Campobasso) a causa della sua piaga alla che gli impediva di seguire la rigida disciplina francescana. Entriamo in paese e subito chiediamo informazione del Convento di S. Francesco. Si trova nella parte alta della città; lo raggiungiamo in fretta in sella delle nostre bici. Il Padre guardiano, molto giovane, noviziato fatto a Padova, ci accoglie fraternamente e ci accompagna nel chiostro del convento e poi nella chiesa (noi eravamo vestiti in tuta ciclistica e casco in mano: tutti gli occhi erano addosso a noi!). Ci spiega, con nostro rammarico, che il convento dei Cappuccini non esiste più perché a seguito dell’incameramento dei beni ecclesiastici di fine Ottocento l’edificio è stato completamente ristrutturato ed adibito a pubblici servizi. Non abbiamo tempo, purtroppo, di cercare il luogo dell’ex convento dei Cappuccini, perché ripartiamo in bici per Collarmele, serbando nel cuore il pensiero di avere fatto una buona azione onorando la cittadina di Tagliacozzo che ha visto un momento difficile, per non dire drammatico, della vita di S. Camillo. La sofferenza che Camillo ha vissuto in questo luogo l’ha plasmato e preparato per realizzare un programma più vasto che Dio aveva disegnato per lui: ritornare all’Ospedale degli Incurabili di Roma per curare la piaga alla gamba e allo stesso tempo mettere assieme una “compagnia di uomini dabbene”, che diverrà l’Ordine dei Ministri degli Infermi.

Da Tagliacozzo saliamo su su fino a 1.000 metri, passando nel centro abitato di Sante Marie e di lì scendiamo a Collarmele sotto una pioggia battente. Da qui rifacciamo esattamente il percorso dell’andata, fermandoci nuovamente a Carsoli. Giungiamo a Roma, alla Maddalena, il 12 settembre, alle ore 13.00, giusto in tempo per unirci alla comunità che si raduna per pranzo. Ai confratelli portiamo un po’ dell’aria frizzante dell’Abruzzo e raccontiamo le belle esperienze vissute in questa indimenticabile settimana di pellegrinaggio in bicicletta.

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