INCONTRO DEL SANTO PADRE FRANCESCO CON RELIGIOSE E RELIGIOSI DELLA DIOCESI DI ROMA
Sabato, 16 maggio 2015
La vita consacrata è un dono di Dio alla Chiesa, un dono di Dio al suo Popolo. Non sempre però questo dono è apprezzato e valorizzato nella sua identità e nella sua specificità. Spesso le comunità, soprattutto femminili, nella nostra Chiesa locale hanno difficoltà a trovare seri accompagnatori e accompagnatrici, formatori, direttori spirituali, confessori. Come riscoprire questa ricchezza? La vita consacrata per l’80% ha un volto femminile. Com’è possibile valorizzare la presenza della donna e in particolare della donna consacrata nella Chiesa? (P. Gaetano Greco, Terziario Cappuccino dell’Addolorata, Cappellano del Carcere Minorile di Casal del Marmo)
Padre Gaetano nella sua riflessione, mentre raccontava la sua storia, ha parlato di quella “sostituzione di 2-3 settimane” che doveva fare al carcere minorile. E’ lì da 45 anni, credo. Lo ha fatto per obbedienza. “Il tuo posto è lì”, gli ha detto il superiore. E a malincuore gli obbedì. Poi ha visto che quell’atto di obbedienza, quello che gli aveva chiesto il superiore, era volontà di Dio. Mi permetto, prima di rispondere alla domanda, di dire una parola sull’obbedienza. Quando Paolo vuole dirci il mistero di Gesù Cristo usa questa parola; quando vuol dire come è stata la fecondità di Gesù Cristo, usa questa parola: “Si è fatto obbediente fino alla morte e morte di croce” (cfr Fil 2,8). Umiliò se stesso. Obbedì. Il mistero di Cristo è un mistero di obbedienza, e l’obbedienza è feconda. E’ vero che come ogni virtù, come ogni luogo teologico, può essere tentata di diventare un atteggiamento disciplinare. Ma l’obbedienza nella vita consacrata è un mistero. E così come ho detto che la donna consacrata è l’icona di Maria e della Chiesa, possiamo dire che l’obbedienza è l’icona della strada di Gesù. Quando Gesù si è incarnato per obbedienza, si è fatto uomo per obbedienza, fino alla croce e alla morte. Il mistero dell’obbedienza non si capisce se non alla luce di questa strada di Gesù. Il mistero dell’obbedienza è un assomigliare a Gesù nel cammino che Lui ha voluto fare. E i frutti si vedono. E ringrazio padre Gaetano per la sua testimonianza su questo punto, perché si dicono molte parole sull’obbedienza – il dialogo previo, sì tutte queste cose sono buone, non sono cattive – ma che cos’è l’obbedienza? Andate alla Lettera dei Paolo ai Filippesi, capitolo 2: è il mistero di Gesù. Soltanto lì possiamo capire l’obbedienza. Non ai capitoli generali o provinciali: lì si potrà approfondire, ma capirla, soltanto nel mistero di Gesù.
Adesso passiamo alla domanda: la vita consacrata è un dono, un dono di Dio alla Chiesa. E’ vero. E’ un dono di Dio. Voi parlate della profezia: è un dono di profezia. E’ Dio presente, Dio che vuole farsi presente con un dono: sceglie uomini e donne, ma è un dono, un dono gratuito. Anche la vocazione è un dono, non è un arruolamento di gente che vuole fare quella strada. No, è il dono al cuore di una persona; il dono ad una congregazione; e anche quella congregazione è un dono. Non sempre, però, questo dono è apprezzato e valorizzato nella sua identità e nella sua specificità. Questo è vero. C’è la tentazione di omologare i consacrati, come se fossero tutti la stessa cosa. Nel Vaticano II c’era stata una proposta del genere, di omologare i consacrati. No, è un dono con una identità particolare, che viene tramite il dono carismatico che Dio fa a un uomo o a una donna per formare una famiglia religiosa.
Padre Gaetano ha toccato vari temi, per questo mi è difficile rispondere… Ma quando mi dicono: “No! Nella Chiesa le donne devono essere capi dicastero, per esempio!”. Sì, possono, in alcuni dicasteri possono; ma questo che tu chiedi è un semplice funzionalismo. Quello non è riscoprire il ruolo della donna nella Chiesa. E’ più profondo e va su questa strada. Sì, che faccia queste cose, che vengano promosse – adesso a Roma ne abbiamo una che è rettore di una università, e ben venga! –; ma questo non è il trionfo. No, no. Questa è una grande cosa, è una cosa funzionale; ma l’essenziale del ruolo della donna va – lo dirò in termini non teologici – nel fare in modo che lei esprima il genio femminile. Quando noi trattiamo un problema fra uomini arriviamo ad una conclusione, ma se trattiamo lo stesso problema con le donne, la conclusione sarà diversa. Andrà sulla stessa strada, ma più ricca, più forte, più intuitiva. Per questo la donna nella Chiesa deve avere questo ruolo; si deve esplicitare, aiutare ad esplicitare in tante maniere il genio femminile.