GALLERIA FOTOGRAFICA DI FRATEL ETTORE
Un po’ matto lo era: come tutti i santi, a cominciare dal fondatore del suo Ordine, Camillo de Lellis, entrato spesso in conflitto con le autorità religiose del tempo per il suo stile “scandaloso” di prendersi cura dei malati. Inevitabile, dunque, che anche fratel Ettore Boschini, quattro secoli dopo, abbia dovuto incontrare contrasti ed opposizioni nel suo originale tentativo di reinterpretare il carisma camilliano.
Nasce nel 1928 a Belvedere di Roverbella, in provincia di Mantova, in una famiglia di contadini agiati, rovinati dalla carestia, per colpa della quale, ad appena 10 anni, è già garzone di stalla nelle cascine altrui. Con la guerra la situazione si fa ancor più tragica, costringendolo ad andare “a giornata” ovunque c’è bisogno di manodopera. Finisce per lasciarsi contagiare dai vizi dei compagni di lavoro e di svago e la sua adolescenza è ricca di ragazze e di bestemmie, tanto che gli amici inventano per lui un gioco nuovo: trenta bestemmie, trenta centesimi di premio. Si converte in modo improvviso durante un pellegrinaggio, a fine guerra, ad un santuario mariano e da quel momento la Madonna diventa l’unico amore della sua vita.
Ha una salute fragile, un’ernia del disco che lo tormenta, una voglia incontenibile di consacrarsi a Dio: decide così di entrare nei Camilliani, perchè “curano i malati”. Per 25 anni è in corsia: prima all’”Alberoni” di Venezia, dove si curano le malattie ossee, poi a Predappio insieme ai malati psichici, infine a Dimaro, dove ha un crollo psico-fisico a seguito del quale deve prendere una pausa di riflessione, a testimonianza di quanto sia sfibrante vivere a contatto con la sofferenza altrui. I superiori lo assegnano quindi alla clinica San Camillo di Milano, senza sapere che così facendo gli fanno inaugurare una promettente e quantomai ricca “stagione milanese”.
Comincia, nei ritagli di tempo, a portare pentoloni di minestra ai barboni che hanno come punto di riferimento la stazione
Poi, a poco a poco, si organizza e si amplia: dormitori, mense, dispensari, pronta accoglienza a Milano, Seveso, Bucchianico, Grottaferrata e, quando l’Italia non gli basta più, anche a Bogotà, in Colombia, perché i “poveri più poveri” ci sono dappertutto. Anche gli ambiti d’intervento si ampliano, al ritmo delle nuove povertà: dai barboni ai malati di AIDS, alle prostitute dell’Est, agli stranieri, magari irregolari, che devono vivere nell’ombra.
Fratel Ettore è testardo nelle sue idee, spregiudicato nelle scelte, discutibile sui metodi. Per fortuna la Provvidenza lo toglie d’impiccio ogni volta (e capita spesso) che fa il passo più lungo della gamba, con donazioni anche consistenti, perlopiù anonime, a volte superiori alle sue necessità. E in questi casi Ettore dà via il superfluo per le necessità del mondo, dai terremotati agli sfollati della Bosnia in guerra, in modo da restare, come prima, senza un soldo in tasca. E così ricominciare il mattino dopo a confidare nella Provvidenza, insegnando ai suoi poveri a prendersi cura dei “più poveri” e portandoli anche a lavorare dove c’è un’emergenza o una calamità.